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VILLA ADRIANA

La Villa Adriana è la residenza imperiale fatta costruire nel territorio attualmente appartenente al comune di Tivoli dall'imperatore Adriano tra il 118 e il 138.
Adriano detestava l'affollamento, la promiscuità, gli intrighi e il caos di Roma, dove risiedette il meno possibile.
La costruzione della villa tiburtina iniziò l'anno successivo alla sua ascesa all'impero, e lo accompagnò per il resto della sua esistenza.
Amante del bello, Adriano era appassionato di architettura ed intervenne direttamente nel disegno e nella progettazione degli edifici (manifestando una particolare predilezione per gli edifici a cupola), tanto che della villa non conosciamo gli architetti, mentre sappiamo che egli ne curò personalmente la progettazione e che pretendeva gli fossero sottoposti anche i problemi particolari della realizzazione e dell'ornamentazione. Scelse quindi con particolare cura, tanto per cominciare, il sito della nuova residenza imperiale: fuori dal caos di Roma, ma lontano solo 17 miglia romane dalla città, tra la via Prenestina e la via Tiburtina, sul vasto pianoro salubre che si estende ai piedi dei monti Tiburtini, ben drenato e ricco (ancor oggi) di cave di materiali da costruzione come travertino, pozzolana e tufo, verso il quale convergevano all'epoca ben quattro acquedotti (Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Claudia).
Qui, tra le molte ville rustiche che fin dall'età repubblicana erano sorte fra Roma e Tivoli, ne esisteva già una costruita nel periodo Sillano, ingrandita da Giulio Cesare, pervenuta all'epoca in proprietà della moglie di Adriano, Vibia Sabina, che proveniva da una famiglia di antica nobiltà italica. Fu questo il primo nucleo della villa, incorporato poi nel Palazzo imperiale.
Lo studio del sistema di canalizzazione e delle fognature sembra indicare che la progettazione del complesso sia stata unitaria, anche se dai bolli laterizi ritrovati in circa metà degli edifici emergono tre fasi di costruzione particolarmente attive tra il 118 e il 121, il 125 e il 128 e il 134-138.
La complessità della residenza rappresentò la complessità della sua personalità, la magnificenza delle costruzioni la sua idea orientalizzante dell'immagine dell'imperatore nel suo tempo.

Le Grandi Terme
In asse con la valle del Canopo si levano i resti di due stabilimenti termali detti, per le loro differenti dimensioni, Grandi e Piccole Terme.
La diversità delle dimensioni indica che diversi dovevano essere i destinatari: ospiti di riguardo e famiglia imperiale per le Piccole Terme, decorate con grande ricchezza e raffinatezza, e personale addetto alla Villa per le Grandi Terme.
Degli altri edifici annessi a questo complesso, costituiti da una serie di ambienti, si ritiene fossero destinati ad alloggio della guardia imperiale (sono detti infatti Pretorio) o del personale della Villa.

Il complesso del Pecile
Il Pecìle è una ricostruzione della Stoà Pecile (stoà poikìle, "portico dipinto") nell'agorà di Atene, centro politico e culturale della città di Atene, la prediletta da Adriano durante i suoi numerosi viaggi.

Il Teatro marittimo
Il Teatro marittimo - definizione non nota dalle fonti, ma corrente nell'uso - è una delle prime costruzioni della villa, tanto che è stata interpretata come la primissima, provvisoria residenza di Adriano nel sito.
Le sue caratteristiche di separatezza rendono credibile l'ipotesi che il luogo costituisse il rifugio privatissimo dell'imperatore.
La struttura, iniziata nel 118, fu edificata nei pressi della villa repubblicana.
È un complesso assai singolare, ad un solo piano, senza alcun rapporto con la forma abituale di un teatro romano, costituito da un pronao di cui non resta più nulla, mentre sono riconoscibili la soglia dell'atrio e tracce di mosaici pavimentali. All'interno consta di un portico circolare a colonne ioniche, voltato.
Il portico si affaccia su un canale al centro del quale sorge un isolotto di 45 metri di diametro, composto anch'esso da un atrio e da un portico in asse con l'ingresso, più un piccolo giardino, un piccolo complesso termale, alcuni ambienti e delle latrine.
La struttura non prevedeva alcun ponte in muratura che collegasse l'isolotto al mondo esterno, e per accedervi era necessario protendere un breve ponte mobile.

VILLA D'ESTE

La Villa d'Este di Tivoli è un capolavoro del Rinascimento italiano e figura nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
La villa fu voluta dal cardinale Ippolito II d'Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia (Ferrara 1509 - Tivoli 1572).
La storia della Villa e' legata alle vicende del cardinale: per l'essenziale contributo dato dal cardinale d'Este alla propria elezione, nel 1550, Papa Giulio III del Monte volle ringraziarlo nominandolo governatore a vita di Tivoli e del suo territorio.
Il cardinale arrivò a Tivoli il 9 settembre e vi fece un'entrata trionfale, scoprendo però che la residenza del governatore era un vecchio e scomodo convento benedettino, ora tenuto dai francescani, parzialmente riadattato.

Ippolito era abituato a ben altro, nella sua Ferrara, ma l'aria di Tivoli gli giovava e inoltre, grande cultore di antichità romane, era molto interessato ai reperti che abbondavano nella zona.
Sicché decise di trasformare il convento in una villa. La villa sarebbe dovuta essere la gemella del grandioso palazzo che stava contemporaneamente facendo costruire a Roma, a Monte Giordano; così come il palazzo romano doveva servire ai ricevimenti per rinsaldare le amicizie dell'Urbe, così Tivoli doveva fungere da piacevole luogo d'incontri e colloqui più lunghi e meditati.
Non a caso il luogo in cui sorse la villa aveva il nome di "
Valle Gaudente".
I lavori della Villa furono affidati all'architetto Pirro Ligorio affiancato da un numero impressionante di artisti ed artigiani.
La realizzazione della villa seguì però le vicissitudini curiali del cardinale governatore, destituito nel 1555 dal papa Paolo IV Carafa, poi ripristinato nella carica da papa Pio IV nel 1560, poi danneggiato nelle prebende dai pessimi rapporti di papa Pio V con i francesi, che erano da sempre i suoi grandi alleati. Si dovettero inoltre acquisire i terreni necessari da ben due chiese appartenenti a ordini diversi, operazioni che durarono fino al 1566, e convogliare le acque dell'Aniene con nuovi cunicoli che provenivano dalle cascate.
Anche i materiali da costruzione creavano problemi: il permesso, ottenuto dal Senato di Roma, di utilizzare il rivestimento di travertino della tomba di Cecilia Metella per i lavori di costruzione della villa, venne successivamente revocato (non prima di aver asportato tutto il rivestimento della fascia inferiore del monumento, lasciandolo come oggi si presenta).

Il cardinale ebbe appena il tempo di godersi la solenne inaugurazione della villa avvenuta nel settembre del 1572, con la visita del papa Gregorio XIII, e poi morì, a dicembre dello stesso anno.
I primi proprietari della villa, furono tre cardinali d'Este governatori di Tivoli: il fondatore, Ippolito II, Luigi fino al 1586 e infine Alessandro, fino al 1624. Quest'ultimo riuscì a mantenerne la proprietà diretta alla casa d'Este anche per quando, in futuro, la famiglia non fosse stata più presente nel collegio cardinalizio, e realizzò manutenzioni e innovazioni decorative, tra le quali è degno di nota l'apporto di Gian Lorenzo Bernini.
Successivamente la villa e i suoi impianti, passati agli Asburgo, furono lasciati deperire e le collezioni antiquarie furono disperse, fino a quando un Gustav Adolf Hohenlohe-Scillingsfürst, a metà '800, se ne innamora, la ripristina e per il resto del secolo la pone di nuovo al centro di intense attività artistico-mondane; uno dei frequentatori affezionati fu, all'epoca, Franz Liszt che alla villa si ispirò per alcuni brani delle Années de Pèlerinage (Troisième année: Aux cyprès de la Villa d'Este, Thrénodie I – Aux cyprès de la Villa d'Este, Thrénodie II – Les jeux d'eaux à la Villa d'Este).
Nel 1918, dopo la prima guerra mondiale la villa passò allo Stato Italiano che diede inizio ad importanti lavori di restauro, ripristinandola integralmente ed aprendola al pubblico.
Un'altra serie di restauri fu invece eseguita nel secondo dopoguerra per riparare i danni fatti da alcune bombe cadute sul complesso durante l'ultimo conflitto mondiale.

Il giardino
Lo splendido giardino, opera mirabile frutto del genio di Pirro Ligorio, si estende a partire dalla facciata posteriore della villa, rispetto all'ingresso attuale del palazzo, ed è articolato fra terrazze e pendii, con un asse longitudinale centrale e cinque assi trasversali principali, collegando e raccordando con maestria le diverse pendenze del giardino, utilizzando uno schema architettonico tipico delle città romane.
L'ingresso originario, era però più suggestivamente posto sull'antica via del colle, vicino alla chiesa di San Pietro, il cui abside spalleggia un lato del giardino, dando molta più maestosità e suggestione al complesso, da parte del visitatore. L'originale disegno, in aggiunta allo splendido paesaggio di cui si può godere dai vari piani del giardino, le fontane con i loro splendidi giochi d'acqua, lussureggianti alberi e piante di varie specie rendevano il giardino di Villa d'Este, uno dei più belli e famosi esistenti, tale da esser modello per la realizzazione di molti successivi.
Tutto ciò costò al Ligorio un lavoro lungo e molto impegnativo: sfrutto la vecchie mura urbane come contrafforti per la realizzazione del terrapieno, e risolse il problema dell'approvvigionamento della grande abbondanza d'acqua che occorreva per far funzionare tutte le fontane che aveva progettato di costruire, calcolandone le quantità precise. Per questo motivo costruì un sistema di tubazioni e una galleria lunga circa seicento metri, sotto la città di Tivoli, che adduceva l'acqua direttamente dall'Aniene fino ad una vasca: la portata era di ben 300 litri al secondo.
Tutte le fontane erano poi alimentate senza uso di alcun congegno meccanico, ma soltanto sfruttando la pressione naturale e il principio dei vasi comunicanti. Il risultato è solo in parte visibile ai giorni nostri, e i numeri sono sorprendenti: 35.000 m2 complessivi di giardini, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche, 50 fontane, 20 esedre e terrazze, 300 paratoie, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante ed alberi ornamentali perenni, 9.000 m2 di viali, vialetti e rampe.

Il Vialone
Scendendo la monumentale doppia scala progettata da Pirro Ligorio, dopo un breve loggiato coperto, che lo collega alla Sala Centrale, è il piano rialzato del Vialone, il primo e più grande viale del giardino, che si estende parallelamente alla facciata del palazzo per circa duecento metri, e viene limitato da una parte, dalla Gran Loggia, e dall'altro dalla Fontana Europa. Qui il cardinale e la sua corte soggiornavano nei giorni più caldi, per godere della frescura e del piacere proveniente dalla vista del giardino che si staglia innanzi al Villa, e per assistere agli spettacoli.

Grotta di Diana
Discendendo dalla villa, sulla sinistra di un vialetto, sta la Grotta di Diana. Completamente decorata con mosaici di pietre, stucchi ad alto e bassorilievi, e decorazioni a smalto, fu realizzata dai bolognesi Lola e Paolo Calandrino, e da Curzio Maccarone; il pavimento invece, come visibile da qualche traccia rimastaci, era in coloratissime maioliche dai più svariati motivi ornamentali. Le eleganti e pregevoli statue che adornavano la grotta, raffiguravano due Amazzoni, Minerva e Diana cacciatrice, alla quale era appunto dedicata la grotta: queste si trovano ora al Museo Capitolino, dove furono trasportate dopo che il Papa Benedetto XIV le acquistò. Alle pareti, oltre a rami di Cotogno e cesti di frutta in stucco, altorilievi di Nettuno, di Minerva, delle Cariatidi, delle Muse, con occhi di pietre preziose, sono rappresentate cinque scene a soggetto mitologico. La prima scena riguarda la trasformazione di Dafne, la quale per sfuggire ad Apollo, fu tramutata dagli dei in Alloro; la seconda scena rappresenta Andromeda che viene liberata da Perseo, essendo stata incatenata per essere offerta in sacrificio ad un mostro marino, quale prezzo da pagare per placare l'ira di Poseidone; nella terza scena è invece raffigurata la metamorfosi del cacciatore Atteone in cervo, operata da Artemide, per punirlo di aver osato spiarla nuda; la quarta scena tratta della trasformazione di Siringa in canna, per sfuggire all'amore del dio Pan; la quinta scena infine è quella di Callisto che viene trasformata in Orsa, per la gelosia di Era nei confronti di Zeus.

La rotonda dei cipressi
Si trova nella parte più bassa del giardino, sull'asse principale, vicina all'antico originario ingresso del Palazzo, su via del Colle. Essa altro non è che un piazzale a forma di esedra circolare, contornata da giganteschi alberi di cipresso secolari, che svettano maestosi verso il cielo. Sono forse fra i più antichi esemplari esistenti, non godenti di ottima salute, piantati al posto dell'originario chiosco in legno; adornavano la Rotonda, una serie di statue rappresentative delle Arti Liberali; erano anche presenti delle grandi pergole. Completano il piazzale quattro basse fontane. Essa offre inoltre una splendida e affascinante vista d'insieme del palazzo e del giardino, che tanto stupore doveva provocare nel cinquecentesco visitatore. Gabriele d'Annunzio dovette essere vittima della bellezza di questo piazzale, ricordandone, in un verso del suo "Notturno", gli alti cipressi.

Fontana del Bicchierone
Detta anche "del Giglio", questa fontana è dislocata sotto la Loggia di Pandora, sull'asse principale della giardino della Villa. Elegante e pacata, la fontana fu aggiunta quasi un secolo dopo la realizzazione della Villa, nel 1661, su commissione del cardinale Rinaldo d'Este a Gian Lorenzo Bernini. La fontana, di gusto architettonico, raffigura un calice dentellato (il 'Bicchierone' per l'appunto) sovrapposto ad un altro simile, entrambi sorretti da una grande conchiglia. L'effetto che si crea è di un armonioso e sereno gioco d'acqua poetico. La fontana fu attivata nel maggio del 1661 per onorare gli illustri ospiti della Villa, ma il suo zampillo fu successivamente ridimensionato dallo stesso Bernini, perché, essendo troppo alto, impediva la vista dalla Loggia di Pandora.

VILLA GREGORIANA

La Villa Gregoriana, nota soprattutto per ospitare la grande Cascata, è un particolarissimo esempio di giardino romantico, sia per la sua conformazione che per il tempo in cui fu costruita.
L'ambientazione della villa è in una valle assai scoscesa, detta anticamente «Valle dell'inferno», scavata ai piedi dell'antica acropoli di Tivoli dall'Aniene, nel luogo in cui il fiume entra nella campagna romana.
L'altezza complessiva che l'Aniene supera in quella valle, oggi con due salti (ma originariamente erano 4), è di circa 130 metri.
Fin dall'antichità il fiume, che attorno all'Acropoli formava un'ampia ansa per poi cadere dallo zoccolo calcareo verso la pianura, diede luogo periodicamente a disastrose inondazioni, che continuavano a scavarne il letto: Plinio il giovane ne descrive una nel 105 d.C., che distrusse rovinosamente case, ville e monumenti, altre ne sono descritte dalle cronache locali nel 1688 e 1689, e infine nel 1826.

Il sito era stato strategicamente importante, nelle comunicazioni tra i popoli pastori della valle dell'Aniene e la piana del Tevere, fin dall'età arcaica: il percorso della transumanza, che scendeva dall'Abruzzo lungo i tratturi che sarebbero divenuti la via Valeria, procedeva lungo la riva destra dell'Aniene fino a Tivoli, dove passava sulla riva sinistra, da cui più agevolmente si poteva proseguire verso la pianura.
Era qui che, a monte della grande cascata e soggetto alla sorveglianza (e ai pedaggi) dell'acropoli tiburtina, era stato costruito il primo ponte.
Questa posizione fu una delle ragioni strategiche della nascita dell'antica Tibur, e lo sperone roccioso su cui sorgevano l'acropoli e l'abitato antico, benché - anzi proprio perché - geologicamente e idrologicamente assai difficile, è stato "coltivato" almeno fin dal II secolo a.C.: grazie anche alla natura calcarea e carsica del terreno, vi si conoscono infatti 12 manufatti idraulici, tra fossati, canali, chiuse e rami di acquedotto, senza contare i resti di ponti e mulini, destinati a derivare, governare e utilizzare la pressione variabile delle acque, gran parte dei quali ancora in uso o comunque accessibili.
In età repubblicana, lungo la valle furono costruite varie ville, tra cui in particolare, nel sito attuale della villa Gregoriana, quella di Manilio Vopisco, celebrata da Publio Papinio Stazio nelle sue Silvae, e poco dopo devastata dalla citata alluvione del 106.
La villa Gregoriana come oggi la conosciamo nasce appunto dalla necessità di difendere la città di Tivoli dalle piene rovinose dell'Aniene, e dal piacere di un papa camaldolese severamente reazionario ma assai colto, Gregorio XVI, di abbellire l'utile con il dilettevole, senza badare a spese. Da lui prese il nome.
La villa è in effetti un "accessorio" dell'opera primaria: la deviazione e la canalizzazione in due cunicoli artificiali delle acque dell'Aniene, che Gregorio XVI fece realizzare sotto il monte Catillo dopo l'alluvione del 1835, in modo da allontanare dall'abitato il corso del fiume e il punto di caduta delle acque dell'Aniene.
La costruzione del nuovo elegante ponte Gregoriano, a cavallo dell'antico letto del fiume che era stato deviato, e che ora costituiva soltanto il letto di deflusso delle acque in sovrappiù, fu il dono "utile" del papa ai tiburtini.
Il «costruito» della villa di Manilio Vopisco non era più stato residenziale dall'inizio del II secolo.
I ruderi degli edifici di età romana inselvatichiti nei secoli divennero rovine accuratamente ripristinate e manutenute dall'inizio dell'800, quando furono integrati nel giardino dove furono piantate nuove essenze e attrezzati percorsi, vialetti, scale, ambienti di servizio.

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